Recensione al libro di Fabio Ceraulo il 13° giorno.
Il libro che
mi presto a recensire non è il primo scritto di Fabio Ceraulo. Già
con due volumi alle spalle dedicati a storie popolari della sua
Palermo, si presenta ora con un opera prima di narrativa.
Un romanzo
in cui il personaggio non ha nome, ma è solo memoria che ha voglia
di raccontare un'esperienza che cambierà il suo percorso di vita e
di coscienza in una città che sembra non averne.
Un libro
scaturito da quel profondo senso di giustizia che anima molti
palermitani.
Una
giustizia negata dai potenti che ha bisogno di uomini come Joe
Petrosino, il primo d'una lunga e tragica serie, e che troverà in
essi i parafulmini delle coscienze politiche/sociali tramite i quali
lavarsi le mani con la beata retorica senza dare un indirizzo finale
alla soluzione del problema storico di Palermo: la mafia e la
corruzione ad essa legata.
Il libro non
è incentrato sulla vicenda Petrosino, ma ne è l'apice, quattro
lampi nel buio di una piazza vuota e silenziosa che penetrano nella
memoria e nell'anima del protagonista incendiandola.
Lo stile
narrativo non e mai sopra le righe, non si affanna in descrizioni
fuori dal contesto, se non con accenni alla situazione generale. Il
protagonista, povero tra i poveri, vive in un vecchio quartiere della
Capitale Sicula, da cui anche la stessa povertà sembra voler
fuggire. Un degrado sociale ed umano al limite della sopravvivenza o
della voglia di lasciare per trovare fortuna in altri mondi, come nel
film di Crialese “Nuovomondo”. Una situazione presente anche ai
nostri giorni.
La
descrizione dell'abitazione e dell'esistenza in essa è molto vivida
con i sui odori, le sue fatiscenze, i suoi occupanti e le loro
storie in un epoca dura per i meno fortunati.
Una realtà
sociale con bassa istruzione e poche aspettative. L'unica speranza
era quella di riuscire a portare a tavola un piatto di zuppa (bello
l'episodio della cassata). Senza troppi desideri e con rari momenti
di svago, sempre contenuti in un orgoglio che sa di antico.
Tradizioni che relegano il padre, la madre e tutti i protagonisti in
compiti e doveri sociali delimitati dalle convenzioni dell'epoca.
La vicenda è
il racconto d'un anziano ad un giovane. Un passaggio di testimone. I
ricordi d'una vita di stenti, di tentativi di riscatto e di
personaggi di contorno che con le loro vicende e personalità
tolgono tensione ad un racconto che ha un crescendo verso la
tragedia. Essa, però, non avviene alla fine del romanzo ma nel mezzo
della vicenda: il 13° giorno di permanenza di Joe Petrosino a
Palermo.
L'autore ha
voluto porre un fulcro sull'asse della vita del protagonista, un rito
di passaggio in equilibrio precario, sbilanciato tra giustizia ed
omertà. Tra un padre ansioso quanto il figlio di sapere ed una madre
ansiosa al contrario di fuggire dalla realtà di un mondo fatto di
paure indicibili e sguardi indagatori per rintanarsi nell'angusta
abitazione piena di certezze.
La parte
dedica all'omicidio Petrosino è ben fatta e conduce il lettore
delicatamente nel luogo e nel tempo della vicenda per poi ferirlo
mortalmente con gli spari che abbattono il poliziotto. Si ha la
sensazione di viverla come se lo stesso autore ne fosse stato
testimone. L'arrivo del poliziotto al bar, la curiosità del ragazzo,
l'arrivo dei probabili(?) sicari/informatori che lo invitano ad
uscire, l'inseguimento del giovane per restituire una cosa,
l'inconsueto buio che attanaglia la piazza, gli spari, i lampi. Lampi
che come marchi roventi penetrano nella mente e nella coscienza del
giovane, che non assiste direttamente al fatto. Febbricitante vuole a
tutti costi vedere il cadavere del poliziotto per condividerne
simbolicamente la morte in una sorta di rito di trasmigrazione d'un
anima defunta in una viva. Un altro passaggio di testimone. Quindi la
degenza e la rinascita in una nuova consapevolezza, con la
determinazione di non lasciarsi sfuggire il messaggio inconscio che
Petrosino li ha donato nel momento del suo martirio come un messia
della giustizia che vuole fare nuovi apostoli. Infatti, il simbolo
della croce inciso sulla pietra di piazza della Marina, accanto al
luogo del delitto, è il segno indelebile della coscienza del
protagonista che vuole giustizia e vuole ricordare a se stesso, e
indirettamente alla città, che essa vive. Infatti da quella vicenda
nascerà l'uomo-poliziotto che poi vedremo nella terza parte del
romanzo molto più contenuta e seria, a mio parere. I capitoli dopo
l'omicidio, arrancano nel descrivere le vicende emotive del
poliziotto lasciandole come in sospeso il lato più intimo delle
proprie decisioni. Si intuisce la sete di conoscenza e di giustizia
che attanaglia il protagonista, anche in un periodo storico buio come
quello del fascismo, ma le vicende finali hanno lo scopo di condurre
la storia a termine con l'adulto coinvolto in altre vicende amare
come Salvatore Giuliano ed incontri di personaggi come un giovane
Dalla Chiesa il cui destino è segnato come quello del poliziotto
americano. Episodi privati e pubblici sono descritti a spot come per
formare un collage esistenziale che serve da contraltare agli stessi
episodi nei capitoli iniziali, ribaltando il destino di povertà ad
uno di benessere con l'omicidio a fare da spartiacque.
Il romanzo
nel suo complesso è coinvolgente, con non pochi spunti ironici nella
sua prima parte e la scena dell'omicidio dinamica e tesa al punto
giusto.
Fabio è
vissuto nelle vicinanze dei luoghi dove avvengono i fatti, quindi è
molto realistico nella descrizione del quartiere del protagonista e
nell'omicidio del poliziotto. Si è documentato ampiamente attraverso
i giornali dell'epoca, così ha seriamente descritto al lettore uno
spaccato reale della società dell'epoca comunicandoci un messaggio
universale: non dimenticate la storia o la stessa si ripeterà.
Il
protagonista non desidera l'oblio e cerca una verita oscurata, che
non troverà, ma intuirà. L'atto finale dell'anziano è il più
lucido esempio di conservazione. Un ulteriore passaggio ci aiuterà a
capire che la speranza non è finita, ma la voglia di verità può
essere tramandata sino a che essa non verrà svelata.
Quindi un
romanzo dedicato alla memoria, rappresentata anche dalla bella foto
di copertina: due scarpe vecchie gettate su di un lastricato bagnato.
Meditando su
questa foto ho potuto constatare che la verità storica viene sempre
considerata vecchia e scomoda, la si vuole rimuovere e non
raccogliere per non portarsi in casa un probabile nemico del presente
e delle proprie aspirazioni. Joe Petrosino è una parte di questa
verità che non si vuole diseppellire e si preferisce gettare su di
un strada bagnata di retorica e dal sangue delle decine di innocenti
assassinati per essersi messi di traverso nel percorso deliquenziale
di certa gente.
Consiglio la
lettura di questo romanzo sia per l'umanità che trasmette che per la
curiosità che potrà suscitare nel lettore inducendolo a ricercare
notizie sull'assassinio e quindi, indirettamente, a raccogliere il
testimone lasciato dal vecchio narratore. Un'altro rito di passaggio.
Nicola
Messina
26/11/2015
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